venerdì, Marzo 29, 2024

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Green Day, dopo 30 anni esce l’album “malato” di generi: il punk che non muore mai

“Father of All Motherfukers” Green Day Motherfuckers recensione

Una vita che non deve essere passata nei pensieri negativi, ma che deve essere goduta a pieno, sia nel bene che nel male. Spaccata tutto, fatevi male, divertitevi, tutto questo deve essere alimentato dalla frenesia del momento. Adrenalina allo stato puro l’ultimo album dei Green Day, che è il più breve della loro carriera. Si contano 27 minuti di puro divertimento “punkettaro”: un disco veloce, un tipo di musica che non perde tempo dietro a fronzoli di ogni genere.Green Day Motherfuckers recensione

Da ascoltare andando al lavoro (come suggerisce la band) o magari andando a scuola (come facevamo negli anni Novanta) con un’inversione di rotta rispetto alle mode del momento.

D’altra parte i Green Day hanno influenzato ben più di una generazione fino all’ultima ondata di artisti, tra cui Billie Eilish che nemmeno era nata ai tempi di “Basket Case”.
Tutto merito di Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tré Cool il cui spirito, alle soglie dei 50 anni, è ancora energico e scanzonato come quello di un teenager nel video di “Meet Me On The Roof”, per il quale hanno assoldato Gaten Matarazzo (Duster in “Stranger Things”).

“Gira la ruota”

Nonostante i 30 anni di carriera alle spalle, i Green Day ancora oggi non si prendono troppo sul serio (la mascotte di questa nuova uscita è un unicorno che vomita l’arcobaleno, per dire) e la loro sala prove assomiglia a quella di un gruppo di ragazzini, con un optional interessante. Si racconta su NME, infatti, che appesa al muro ci sia una coppia di pelli rotonde da batteria – fissate alla parete con un chiodo al centro – su cui sono stati disegnati degli spicchi a pennarello. Da una parte hanno riportato il tempo, in tutte le sue declinazioni (Fast, Swing, Psychedelic Trippy ecc), dall’altra si trovano i generi (Glam, 60s Garage, British Pop Invasion e così via). Pare che quando uno dei tre si presenta in saletta a corto di idee, facciano girare la ruota: dalla combinazione di tempo e genere, a quel punto, può nascere di tutto.

Green Day Motherfuckers recensione

Fast/Punk

Se il criterio della ruota è stato adottato anche per i pezzi dell’ultimo disco, l’esito deve essere stato qualcosa tipo Fast+Punk. “Father Of All…” si avvicina più alla trilogia “¡Uno!”, “¡Dos!”, “¡Tré!” che al precedente “Revolution Radio” del 2016 o, ancora, ad “American Idiot” (dal quale riprende la copertina, con l’aggiunta di graffiti e unicorno). I brani sono spiccatamente punk, ma come racconta Billie Joe le influenze sono tante: Little Richard e il rock’n’roll anni Cinquanta, il garage dei Sonics, la leggendaria Motown, gli Archies e le icone del glam Mott The Hoople. Non manca neppure un omaggio a Joan Jett, con “Oh Yeah!”, e, di rimando, a Gary Glitter – “Do You Wanna Touch Me (Oh Yeah)” è il pezzo originale.

TRACKLIST

01. Father of All… (02:31)
02. Fire, Ready, Aim (01:52)
03. Oh Yeah! (02:51)
04. Meet Me on the Roof (02:39)
05. I Was a Teenage Teenager (03:44)
06. Stab You in the Heart (02:10)
07. Sugar Youth (01:54)
08. Junkies on a High (03:06)
09. Take the Money and Crawl (02:08)
10. Graffitia (03:17)
Green Day Motherfuckers recensione
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