venerdì, Aprile 19, 2024

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Alèa: l’irrazionale follia di immagini (Alèa)torie

Alèa: cantare l’irrazionale Alèa Smarjon band

A febbraio del 2019, dalle ceneri di un precedente gruppo vedono la luce gli Alèa, power trio di rock sperimentale Catanese.
la formazione prevede Vittorio di Mauro alla voce (cantante molto dotato, capace di passare da voci pulite e melodiche a growl e scream potenti), Riccardo Pilotta alla batteria (Studente di batteria moderna alla Ratamacue di Catania, carismatico e potente, una vera macchina da guerra) e Renato Moretti alla chitarra (studente di chitarra Jazz/Fusion all’MMI di Messina, cultura musicale pregna di generi e divoratore di riff potenti e melodici). Tutti e tre musicisti hanno un’unica passione: sperimentare! Pur avendo percorsi di studi differenti, sono riusciti a trovare nel progetto un unico punto di forza.Alèa Smarjon band

Alèa Smarjon band

Generi

Il genere è difficile da catalogare: un rock sperimentale puro e privo di canoni stilistici con qualche accenno di Progressive; si passa da sezioni ritmiche potenti e devastanti a fraseggi Jazz puri, il tutto contornato da un cantato melodico ed emotivo.
L’obiettivo del gruppo è quello di portare in auge un genere che, per troppo tempo, è rimasto di nicchia.

La redazione di Musicaccia ha intervistato in esclusiva la giovane band degli Alèa. Ecco le parole del gruppo.

Chi sono gli Alèa? E perché proprio questo nome?

Alèa è una parola che deriva dal fenomeno della musica d’avanguardia, ovvero quella situazione (alea)toria in cui i musicisti suonano facendosi trasportare dalle proprie emozioni. Perché abbiamo scelto proprio questo nome? Gli Alèa hanno iniziato il loro percorso musicale “improvvisando”:  ci siamo incontrati in sala e dopo 3-4 ore di jam session abbiamo creato il primo pezzo. Gli Alèa colgono l’attimo, il momento musicale,  come se fossimo trasportati da quella passione (alea)toria, che si concretizza nelle note dei nostri strumenti, nella voce dei nostri testi. Sperimentiamo per poter portare avanti un’idea originale rispetto al panorama musicale di oggi.

Una domanda al chitarrista Renato Moretti. Hai fatto parte di numerose band, pubblicato diversi brani da solista e addirittura pubblicato un album, “Sequenze”;  cosa ne pensi del nuovo progetto Alèa? E rispetto alle esperienze passate?

Mi sono trovato molto più a mio agio a lavorare con Riccardo e Vittorio, piuttosto che in altri progetti dove già si partiva con un’idea. Vedi, è sempre legato al nostro modo di fare musica: il concetto di “sperimentare” con gli Alèa si fa concreto e reale, e per un chitarrista come me che viene dalla scuola Dream Theater è  fondamentale. Per fare buona musica non serve alcun piano, non una scaletta “preconfezionata”, non un genere già stabilito, ma soltanto avere la forza di cambiare e andare oltre il semplice. Gli Alèa non si pongono limiti, a differenza di molte altre esperienze che ho vissuto, non ci classifichiamo in un genere, ma operiamo per influenze (Jazz, metal, funky, progressive ecc…).

E il tuo strumento che ruolo ha nel gruppo?

la chitarra ha un valore armonico nella musica che facciamo, ma assume “atteggiamenti” un po’ inusuali: in effetti è un trio senza un bassista. La chitarra è anche basso; la chitarra è melodia; è uno strumento che collabora sia con la batteria di Riccardo che con la voce di Vittorio.

La parola al batterista Riccardo Pilotta. La batteria è uno degli organi pulsanti del vostro gruppo: tra ritmica e armonia anche la musica di questo strumento assume connotati “particolari”. Come vedi il progetto Alèa? Ma soprattutto, visto le numerose collaborazioni con altri gruppi, consa ne pensi di questa nuova realtà?

Sicuramente vivere di musica non è semplice, anzi molto spesso si vive solo di dispiaceri. Con gli Alèa sembra di vivere in un’altra dimensione, non mi sono mai trovato cosi bene con una band: sia Renato che Vittorio hanno un’idea simile alla mia riguardo al modo di fare musica. Siamo tutti e tre i fondatori di questo gruppo, ma per essere più precisi l’idea “Alèa” era partita da me.  Vittorio aveva già una sua band, ma lo contattai perché la sua voce era davvero fantastica, mi piaceva davvero tanto, e quindi gli proposi il progetto.

Alèa Smarjon band

Vittorio non ha esitato un momento, ma ancora non eravamo gli “Alèa”, infatti avevamo un bassista con cui poi non si è combinato nulla. Tra una ricerca e l’altra siamo riusciti a trovare Renato. In parte gli Alèa sono il risultato di questa mia voglia di creare qualcosa di inedito e di esprimermi con la forza della batteria. Non uso mai le parole, lo strumento è la mia voce.

Se per Renato Moretti e Riccardo Pilotta la parola si fa musica, Vittorio Di Mauro rappresenta gli occhi e lo sguardo della band. Lui è la voce e l’autore dei testi degli Alèa. Cosa sono gli Alèa per te? I tuoi testi trovano un nuovo senso compiuto con questa nuova formazione?

Una domanda scontata! No, scherzo, sono felice che tu me lo abbia chiesto. Gli Alèa sono tutto quello che è stato compresso e messo “sotto voce” in questi anni. Esprimiamo la forza di una musica che tiene a cambiare se stessa, un tipo di musica che non si ferma mai e continua a vivere guardando da più punti di vista. Il mio lavoro si è sempre distinto negli anni, ho sempre provato, un  po’ come Renato e Riccardo, a non creare mai qualcosa di “definitivo”, ma sempre mettendo il punto di domanda. Ho avuto la possibilità di raccontare me stesso, ma con gli Alèa ancora di più: prima vivevo una sorta di repressione artistica, non riuscivo ad esprimere tutto quello che avevo dentro. Adesso scrivo i testi e metto tutto quel che rimane di quello che ero, facendomi sentire libero, a mio agio.

 

Ancora per Vittorio: quando hai scoperto questa passione per la scrittura?

Scrivo da quando avevo 13 anni e il genere con cui mi approcciavo, anche se sembra scontato, era il rap. Avevo una spinta d’ispirazione massima a quei tempi, avevo capito che quello che dovevo fare era buttare giù con le mie parole tutto quello che vivevo. Adesso scrivo in maniera più “consapevole”, non che prima non lo fossi, ma che comunque le scene di vita vissuta hanno fatto molto. Non scrivo più delle mie esperienze personali: scrivere un testo dove si parla di me, cantarlo, alla fine è come guardarsi allo specchio e io non volevo più parlare di quello che ero.

E adesso…?

Adesso la mia “maturità” mi porta a parlare di situazioni del presente, dell’uomo moderno affranto e schiacciato dalla vita di tutti i giorni. La maniera astratta è quel mezzo che utilizzo per poter raccontare di tutto quello che vedo, sento, e vivo.  I miei testi sono volutamente criptici, difficili da interpretare a primo impatto, ma se si capisce il cuore di quelle sensazioni che voglio raccontare, allora non sarà complicato entrare nel momento. I miei testi evocano immagini e credo che sia un tratto distintivo del gruppo stesso, o per lo meno è quello che vogliamo far vedere.

Qual è la vostra idea di gruppo?

Abbiamo vissuto delle situazioni abbastanza complicate. L’ambiente, se all’inizio poteva essere considerato come una seconda casa, a lungo andare è diventato opprimente. La nostra idea di band è sempre stata legata alla parola “famiglia”.

Quali sono le vostre aspettative per il futuro?

Potrebbe essere una risposta atipica, ma noi siamo fatti cosi, irrazionali è dire poco. Uno dei nostri obiettivi è quello di presentare la prossima estate 2020 il nostro nuovo disco a Vancouver, insieme all’ amico e maestro di batteria Turi Platania. Da queste risposte forse è facile non prenderci sul serio, ma in verità abbiamo grandi aspettative e abbiamo la forza di realizzarle.

Siete una band catanese, ma qual è la realtà musicale che offre la vostra città?

Ci sono diverse realtà qui a Catania, grandi musicisti e piccoli, ma è tutto messo da parte. Si, c’è chi fa musica, ma non esiste quella mentalità che riesce concretizzare le aspettative di un giovane, che della musica ne fa il suo pane quotidiano. E’ vero, anche internet fornisce la visibilità, ma è più che vero è che la casa discografica ha sempre la sua importanza. Noi siamo giovani, abbiamo tante idee, abbiamo tutto quello che deve avere una band, siamo pronti a tutto: la creatività è ciò che respiriamo. Non ci facciamo previsioni irrealizzabili, ma mettiamo in conto tutto.

E il pubblico? Che effetto fa la vostra musica?

C’è da dire che noi non facciamo musica per tutti: spaziamo ed operiamo per influenze di generi e sottogeneri. Il primo singolo “Smarjon” è la nostra prima prova, sicuramente è di facile assorbimento, ma mantiene sempre quel limite lontano dal commerciale.  Gli altri pezzi che abbiamo fatto sono un po più di nicchia, alcuni pezzi sono davvero complessi, ma a noi piace sperimentare quindi non avremo mai un’unica (ri)soluzione. Il nostro pubblico esiste, sappiamo farci piacere e man mano sta andando sempre meglio: non pensavamo di poter attirare così tanta attenzione.

Che cos’è “Smarjon”? Come è nato?

E’ curioso sapere come è nato il singolo: a tempo perso, per pura casualità, un file audio condiviso e subito messo in produzione. Batteria, chitarra, voce e testo, tutto è nato per puro caso. A noi piace identificare “Smarjon” come un’entità, un qualcosa che è stata “evocata” e non costruita con delle idee a priori. “Smarjon”  è interiorità e vive in ciascuno di noi.

“Smarjon” ostacola ed è un’emozione negativa. Il brano non si descrive nel sentimento semplice, ma è qualcosa di più complesso: quella sensazione che ti prende nel petto, che ti distrugge a volte, che ti sbrana la propria anima e pace interiore. Un testo che parla dell’uomo in un mondo quasi inesistente, che diventa quasi un omuncolo a causa  di quel vuoto che lo accompagna in tutti i momenti della sua vita. Potrebbe essere un testo molto personale, forse dalla musica azzeccata e precisa, ma quello che fa “Smarjon” è decontestualizzare, far sentire gli altri parte di qualcosa, ma allo stesso tempo persi in quel tutto di cose.Alèa Smarjon band

Ossessione e follia

“Se mi lasciassi ascendere toccherei il vuoto, le ali del mondo, ma lo farai, lo farai, lo farai… mi aiuterai a sapere che la mia vita non andrà avanti e sarei concentrato nelle mie mansioni, nelle mie occupazioni giornaliere. Lo so mi manderai all’inferno”. Questa è una parte del testo di Smarjon. La penna creativa di Vittorio Di Mauro che dal dolore, dalla sua potenza e dalla follia si veste con la sua voce. Passione, sangue e sudore, che armano la musica tonante della batteria di Riccardo Pilotta. La maturità, la consapevolezza e la sintesi di Renato Moretti, che con la sua chitarra bisbiglia una storia di intenzioni sostanziali, imprevedibili. Smarjon è il testo che parla dell’animo fuori da ogni orbita di comprensione,  dell’animo compreso dalle ossessioni e da ciò che si vorrebbe essere.

Alèa Smarjon band

Testo “Smarjon”

Two suns hitting the ground

Revolve around the sphere of

Sound coming and circuing over my head

Pull me back and order myself

To a race of light that burns into a ghost

A lenght of skin that turns into a loss

Smarjon reminds me a lot of pain

Untie the old knot of my brain

If we can easily say that you’re hard to knock down
We can easily say my drama goes out
i’ll move in space and time
If we can barely say that you are hard to pull down
We can easily say our drama is out we’ll move in space and time

If you let me ascend i know that i will touch the void, the wings of the world,but you will,you will,you will help me to know that my life won’t go on and you will be concentrate in my own occupations, you will,you will,you will,you will send me to hell Alèa Smarjon band

Guilty man i know you’re on your own backdown

Guilty man i know you’re the non return flight

Guilty man i appreciate your way to die Alèa Smarjon band

Cause you’re on the right way to hide

Smarjon reminds me a lot of pain

Untie the old knot of my brain

Father God help us in the climb towards awareness

Alèa Smarjon band

 

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