giovedì, Aprile 18, 2024

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Bob Dylan, esce “Rough and Rowdy Ways”: l’ultimo monumentale album del grande maestro

Contemplazione materiale: la vita secondo Bob Dylan

Dylan Rowdy Ways recensione

In Rough and Rowdy Ways, Dylan contempla la materia stessa di cui è fatta la sua musica: storie e storia soprattutto, vicende individuali e collettive, immagini potenti, persone reali e personaggi immaginari d’ogni epoca. E poi l’America e le relazioni, come quella cantata da Jimmie Rodgers nel 1929 in My Rough and Rowdy Ways in cui il protagonista molla la sua vita scapigliata per una donna, ma sente il richiamo del gioco d’azzardo e del vagabondaggio. L’album arriva dopo un monumentale lavoro di recupero del grande canzoniere americano fatto nell’arco di tre diversi album, di cui uno triplo. Qualcosa è rimasto di quell’esperienza: certi accordi jazz, l’aria da marpione, le chitarre semiacustiche, l’atmosfera notturna.Dylan Rowdy Ways recensione

Dylan Rowdy Ways recensione

Tracklist album:

“I Contain Multitudes”

Il primo brano è uno di quelli già noti; una ballata rarefatta che ricorda le atmosfere di “Oh mercy” con qualche cambio di tempo jazzato, sul modello degli standard riletti in “Triplicate”. Una lunga meditazione apparentemente autobiografica che prende spunto da Walt Whitman (“Do I contradict myself?/ Very well then I contradict myself/ (I am large, I contain multitudes)”) e accumula citazioni e allusioni, dagli Stones ad Anna Frank a Indiana Jones.

“False Prophet”

Il primo blues dell’album, anche questo già diffuso: con qualche polemica, vista la somiglianza del riff e l’andamento con un raro brano degli anni ’50 di Billy “The Kid” Emerson, “If Lovin’ Is Believing”, di cui sono riprodotti fedelmente il riff e l’andamento. Ma è il testo ad attirare l’attenzione con Dylan che gioca sulla sua figura e reputazione.

“My Own Version of You”Dylan Rowdy Ways recensione

Un’altra canzone rarefatta, con una chitarra appena accennata, una slide e la voce in primo piano e un andamento con un accenno di blues. Dylan cita l’Al Pacino di Scarface e il Marlon Brando de “Il padrino”, Liberace e l’armageddon, nel suo racconto di come l’arte lo ha formato.

“I’ve made up my mind to give myself to you”

Una ballata ancora più tradizionale, sostenuta da un coro e dal ritmo delle spazzole.

 “Black Rider”

La canzone più breve del disco e un altro brano rarefatto con la voce che fa da contrappunto a chitarre e basso e un mandolino, dove il cavaliere nero è una metafora del confronto con passato e con la morte, un tema ricorrente in diverse canzoni.

 “Goodbye Jimmy Reed”

Uno dei pionieri del blues elettrico, originario del Mississippi e scomparso nel ’76 a 51 anni, Jimmy Reed ha influenzato generazioni di musicisti da Elvis a Eric Clapton ma soprattutto gli Stones, che hanno inciso diversi dei suoi brani, da inizio carriera fino a “Lonesome & blue”. La canzone è ovviamente un blues elettrico, il brano più diretto del discocon le chitarre in bella evidenza e l’armonica.

“Mother of Muses”

Un altro brano rarefatto che ricorda l’inizio di “I contain multitudes”, una sorte di ode agli eroi del passato: “Mother of muses sing for me”, e cantami le storie di personaggi come i generali Sherman e Patton.

“Crossing the Rubicon”

Il fiume attraversato da Cesare è la metafora della decisione irrevocabile. In questo blues, il terzo e l’ultimo del disco, è un’altra metafora dell’avvicinamento alla morte.

“Key west (Philospher pirate)”

Il capolavoro del disco, un viaggio verso l’isola-città in compagnia dei propri numi tutelari. Una lunga e stupenda ballata di 9 minuti e mezzo per voce, fisarmonica, chitarra e una batteria appena accennata dove l’isola posta alla fine di una autostrada che solca l’oceano, il punto più a sud degli Stati Uniti non è solo “The end of the line” ma il posto dove ritrovare se stessi.

 “Murder Most Foul”

Talmente importante che, nella versione fisica sta su un secondo CD a parte, come se fosse un’opera indipendente. 17 minuti epici, pubblicati a sorpresa nel bel mezzo della pandemia, che raccontano l’assassinio di Kennedy attraverso un accumulo di immagini, citazioni e allusioni. Torna la morte, e l’omicidio più disgusto è una chiave di lettura in filigrana della società odierna. Una sorta di romanzo in versi e musica.

 

Dylan Rowdy Ways recensione

 

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